Intervista a Roberto Santillo – Prima Parte

Per tre lunedì a partire da oggi, ospiterò delle interviste di Mariapaola Pesce ad autori di spicco.
Iniziamo con una serie di interessanti domande al fumettista Roberto Santillo (classe 1962) che nel 1993 è divenuto direttore dell’Accademia Disney.

Per Expo Show 2015 ha curato insieme al suo staff, la mascotte Foody e la sua serie animata.
Buona lettura!

Fonte immagini: Labo Fumetto

A cura di Mariapaola Pesce

Buongiorno, Roberto!
Te lo confesso, ho preparato questa intervista in uno stato di strana sospensione. Sono cresciuta amando i fumetti ed i film Disney, ora li regalo a mio nipote e con mia sorella scambio dialoghi a memoria o canto vecchie melodie.
Per cui oggi, lo ammetto, fatico a rimanere sul pezzo, e a concentrarmi sulle mie curiosità legate al contesto in cui voglio muovermi.
Vedremo se la bambina avrà il sopravvento sul coach?

 Hai esordito come fumettista, e sei piaciuto a due grandi del fumetto Disney italiano, tanto che proprio con Accademia Disney hai avuto il tuo battesimo. Sembra una storia un po’ da favola… E’ così?

Quei due grandi autori a cui fai riferimento erano Romano Scarpa e Giovanbattista Carpi.
In realtà non fu un grande exploit, il mio. A ragione direi, dato che il “portfolio” che mostrai era costituito da un unico e totalmente immaturo disegno! Una vera incoscienza da parte mia presentarmi così. Carpi trovò lo stesso utile indagare le mie intenzioni fino a trovare il modo di rilanciare quell’occasione che in quegli istanti pensavo fosse ormai tragicamente persa. Non si soffermò più di tanto ad analizzare quanto avevo disegnato, o forse non lo diede a vedere, iniziò piuttosto a scavare nelle motivazioni personali fino a “ripescarmi” malgrado l’approccio artistico che avevo mostrato fosse stato ben poca cosa. In pratica mi regalò la sua prima lezione di feedback tra art director e artista: quando incontri per la prima volta un artista, il suo lavoro è solo la chiave per parlare con lui di lui, non “l’oggetto” da giudicare.

La volta successiva, ben carrozzato da decine di disegni, mi presentai per un giudizio finale. Lui chiuse il colloquio positivamente dicendo: “Beh, allora ti aspetto. Non mi tradire”. Seconda lezione: quando dai il primo feedback positivo crea anche una responsabilità in chi lo riceve. Non male come protocollo per un giovane apprendista stregone, no?

No, non male! Nel giro di soli 5 anni, se non ricordo male, sei passato a dirigere la stessa accademia che ti ha visto come studente… Io non ho mai desiderato tornare ad insegnare nel mio vecchio liceo. In pratica sei passato da artista a manager, in qualche modo.
Com’è stato? Te lo aspettavi così, quando eri studente?

Non mi aspettavo niente del genere.
Ricordo solo che negli anni da freelance cercai di fare più esperienze possibili in ambito Disney; diventai forse il meno prolifico tra i nuovi autori in termini di storie a fumetti ma probabilmente uno tra i più poliedrici. Mi sembrava occorresse una preparazione smisurata per gestire anche minimamente questi Personaggi straordinari che, a mio sentire, erano cittadini di un immaginario collettivo nell’ intero pianeta. Temevo di non avere abbastanza tempo per recuperare il gap che sentivo tra l’occasione che mi era stata data e le mie capacità reali. Occorreva studiare, studiare e studiare ciò che aveva reso questi Personaggi, unici.
Mi sentivo profondamente impreparato e forse inadeguato. Quando successivamente mi fu chiesto di condurre l’Accademia Disney, pensai che fosse l’occasione concreta e inaspettata per immergermi, da ricercatore, nell’Universo Disney così come speravo. Insegnare equivaleva a mettersi costantemente in gioco, quindi a non smettere di imparare. Di contro fu un po’ come aver scelto il percorso da direttore d’orchestra, insomma, rinunciare ad essere un possibile autore. Ma ero attratto profondamente dall’ incontrare energie provenienti e il territorio creativo che la Disney mi offriva da esplorare era davvero smisurato.

Immagino che nel tuo lavoro tu abbia a che fare collaboratori fissi, interni in azienda, una gran quantità di consulenti e creativi esterni.
Sei tu che ne coordini il lavoro, per un obiettivo comune.
Come riesci a conciliare le due realtà diverse, soprattutto avendo a che fare con teste vivaci, appassionate come possono essere quelle di artisti che già di per sé sono degli outsider?

Esatto, sì, questa è la mia realtà attuale.
Concluso un lungo periodo dedicato alla formazione e progettazione in paesi come Cina, Corea del Sud, Giappone, sono passato allo sviluppo di nuove properties ed alla realizzazione di comics e graphic novel basate sulle creazioni degli Animation Studios, dalla Pixar e dalla Lucas Film. Un contesto di stampo più produttivo, fatto di scadenze e passaggi obbligati che sicuramente ben conosci, provenendo dal mondo aziendale!
E’ difficile parlare di un metodo di coordinamento ben preciso ma è vero che entrano in gioco dei capisaldi fondamentali ricorrenti nella relazione con gli artisti.
Portfolio a parte, occorre indagare il carattere, il temperamento, l’attitudine verso il lavoro di gruppo della persona scelta. Al tempo stesso, non forzare niente che non sia già insito in quel temperamento, piuttosto gestire la relazione con l’artista perché gli sia palese l’opportunità di crescita del proprio profilo artistico e personale.
Naturalmente occorre indagare cosa equivalga al termine “crescita” per quel singolo talento, e non dare per scontato che sia ciò che abbiamo da offrirgli solo perché marchiato Walt Disney!

Anche se in effetti, essere in un progetto Disney, penso sia di per sé un fattore di soddisfazione!

Ma non basta! Un altro fattore chiave trovo che sia il che coinvolgimento della persona avvenga nella fase iniziale del progetto, in quella sorta di fase “staminale” che è presente in ogni lavoro. Se, per forza di cose, il coinvolgimento avviene in una fase successiva, faccio di solito di tutto per ripercorrere ogni momento chiave precedente lasciando che l’artista diventi comunque uno “sponsor emozionale” del progetto.
Questa fase può indurre la preoccupazione di un allungamento non previsto dei tempi. In realtà, per esperienza spesso fa la differenza tra cogliere il potenziale che l’artista è in grado di esprimere o incappare in una performance sotto le aspettative.

La gestione del tempo, la progettazione accurate! Un sogno, spesso, nella vita aziendale in cui si vive di emergenze e programmazioni da un giorno all’altro.
Io, per esempio, ho vissuto per anni tra conference call e riunioni. Ne ricordo di estenuanti, che servivano solo a fissare i criteri di riunioni successive, in cui si decideva come definire gli ambiti di un possibile progetto… e via così. Come team coach ho ancora i brividi! Come funzionano le tue riunioni?

“Ci aggiorniamo”. Eccola, puntuale, la frase mistica dalle implicazioni pratiche misteriose, a conclusione della riunione tipo! Scherzi a parte, il tema delle riunioni, come sappiamo bene, è da sempre oggetto di ragionamenti e aggiornamenti metodologici focalizzati a migliorare la loro efficacia. Difficile produrre e gestire la riunione ideale. Certamente esistono profonde differenze tra riunioni organizzate esclusivamente con partecipanti artisti/sceneggiatori e quelle circoscritte ai soli manager interni. In entrambi i casi a mio parere, comunque, è fondamentale la presenza di una figura chiave, una sorta di nocchiero capace d’ essere ad un tempo leader e facilitator, dotato di grande capacità di ascolto, di rilancio e di sintesi.
Nella mia esperienza, la situazione più complessa è quando mi trovo a gestire la riunione in cui è necessario si incontrino così detti creativi “puri” con componenti del management interno. In quei casi, solitamente, a salvare il tutto è il ruolo dell’“interprete” tra i due mondi, intento a ristrutturare il pensiero di una delle due parti al fine di renderlo efficace all’altra.
Può sembrare macchinoso ma equivale semplicemente a tradurre affermazioni tipo: “non è quello che avevamo chiesto” in “sembra ci sia ancora spazio per andare oltre” e “questa sì che è un’immagine molto bella” in “questa immagine funziona più della precedente”. Meglio ancora se a ciò segue una spiegazione costruttiva del ragionamento che ha portato a quel feedback.
Il linguaggio è importante e va adattato di volta in volta tenendo conto, ad esempio, della fase che sta attraversando il progetto stesso. Durante lo stadio d’incubazione è necessario che la comunicazione alimenti il più possibile l’immaginario positivo dell’assemblea, mentre in una fase di finalizzazione occorre che il lavoro di parafrasi sia accurato e opportunamente selettivo dei contenuti.

La seconda parte dell’intervista sarà online il prossimo 5 febbraio!

 

Roberto Santillo ci racconterà cosa significa essere direttore dell’Accademia Disney, quali sono i suoi modelli di riferimento e come ha gestito alcuni responsi negativi quando era un fumettista agli esordi.

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