Non è (più) un Paese per fumettisti – Parte 1 di 2

Goscinny e Morris, i creatori di “Lucky Luke” nel 1971.

a cura di Davide Calì

Non è (più) un Paese per fumettisti – Parte 1 di 2

OVVERO
calo delle vendite e sovra-produzione
nell’editoria francese (e non solo)

Di recente, chiacchierando con alcune giovani illustratrici, mi sono reso conto che gli illustratori e fumettisti italiani hanno della Francia e del suo mercato editoriale un’idea aggiornata a circa 20 anni fa.
Per tutti la Francia è ancora una sorta di paradiso, una terra di opportunità, dove si fanno e vendono tanti fumetti, tanti libri per bambini, per cui c’è lavoro per tutti.

Per quanto tra l’Italia e la Francia vi sia ancora un gap abissale per quello che riguarda le vendite dei fumetti e anche dei libri per bambini, e sebbene quello francese continui ad essere un mercato dieci volte più prolifico e sviluppato in questo senso, credo che sia però opportuno aggiornarvi un pochino sulla situazione, che purtroppo non è rosea.

Troppi libri

La Francia vive da ormai diversi anni una crisi intellettuale, sociale, politica ed economica, nel merito della quale però non entrerò in questo articolo.
Tutto ovviamente si riflette anche sull’editoria, che da anni sconta già il prezzo di una eccessiva produzione. Di sovrapproduzione, non limitata al solo mondo del fumetto o dei libri per bambini, ma estesa ai libri in genere, se ne parla praticamente da sempre.

Se ne parlicchia in realtà. Tutto dicono che si produce troppo, gli editori amano rinfacciartelo soprattutto quando un tuo titolo non vende abbastanza: “E’ perché tu fai troppi libri.” – ti dicono. Ma nessuno diminuisce né le tirature né il numero delle nuove uscite. Le tirature in realtà si sono abbassate sensibilmente negli ultimi 2-3 anni, in proporzione diretta ai cali di vendita, ma nessuno lo ammette pubblicamente.

La legge del tomo 1

Nel mondo del fumetto non si contano ormai da anni le cifre di venduto del passato.
Venti anni fa, una serie formato Casterman doveva superare le 100 mila copie vendute perché si festeggiasse un successo, oggi ne bastano 20 mila.
Quel che capita però è questo: le majors, pensano solo a riempire i loro cataloghi di novità.
Non investono un euro in pubblicità. Se il titolo vende, bene, sennò tagliano la serie. Non investono quindi nemmeno nella continuità. Se 20 anni fa l’editore si impegnava a pubblicare almeno 3 tomi di una serie, perché certe volte ci vuole tempo perché una serie decolli (e questo lo dimostrano anche certe recenti serie TV) ora se non vende abbastanza vieni liquidato già dopo il primo, mandando così a monte anni di lavoro che, ovviamente, non puoi rivenderti altrove.
Spesso gli editori accusano la stanchezza di certi generi. “Il fumetto con gli Spitfire o gli U-boot ha stufato.” – ti dicono –“Dobbiamo fare dell’altro.”.

Tu te ne stai, ci avete provato ed è andata male. Poi l’anno dopo, il medesimo editore che non porta avanti la tua serie di Spitfire e U-boot, ne pubblica una praticamente identica. Perché? Perché hanno imparato dal mercato che in ogni caso il primo tomo vende.
Per cui se il tomo 1 di una serie non ha vendite soddisfacenti, la serie viene licenziata e ricominciano con una simile.
Sanno che il primo libro della serie si venderà comunque.
Come dicevo, nessun investimento.

Meno del minimo salariale

Perché lo sappiate, la maggior parte dei fumettisti francesi guadagna meno dello SMIC, che è il salario minimo consentito (in generale per i lavoratori francesi, non per i fumettisti).
La questione è emersa tre anni fa, quando lo stato ha deciso di aggiornare il prelievo delle cotisations, per gli artisti. In Francia infatti, facendo il fumettista o l’illustratore si può andare in pensione. Ovviamente però bisogna versare dei contributi. Fino a tre anni fa il prelievo era quasi simbolico, consisteva in una somma forfettaria davvero minima.
Ma se fare l’illustratore è un vero mestiere è giusto versare in proporzione ai propri guadagni, per cui il ministro ha imposto un prelievo dell’8%, che facendo i conti equivale a un mensilità.

La cosa ha creato una certa agitazione nell’ambiente portando finalmente a galla una realtà che i più tenevano nascosta da anni: a fare fumetti si fa la fame. Chi lavora su un album a fumetti per un anno e 10 mila euro di anticipo (lordi, poi dovrà pagarci le tasse) non può togliersi una mensilità per versare anche i contributi. Dopo l’annuncio del ministro sull’aggiornamento dei versamenti previdenziali, alcuni disegnatori, che da anni lavoravano in condizioni precarie, hanno annunciato pubblicamente il loro ritiro.

Commenti

commenti

Total
2
Shares
Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Previous Article

Omero - Scrittori che raccontano libri

Next Article

Non è (più) un Paese per fumettisti - Parte 2 di 2

Related Posts