Se seguite il blog da un po’, sapete che una delle mie più grandi curiosità è sbirciare nei dietro le quinte di altri creativi. E non importa di cosa si occupano: guardo video e interviste di pittori, illustratori, registi di videoclip, designer, scenografi, fino ad arrivare agli attori.
Mi piace conoscere il loro approccio all’attività, le motivazioni profonde che li spingono a disegnare, suonare, recitare; mi piace trovare un po’ di me stessa nei loro ragionamenti e nel loro sentire e, al tempo stesso, ricordarmi che siamo tutti diversi.
Qualche volta ciò che vedo e ascolto mi piace, ma non sempre. Stavolta ho avuto un vero e proprio colpo di fulmine e voglio condividere con voi i pensieri di Josep Pla-Narbona, artista di Barcellona, raccolti da una persona che lo conosce molto bene: sua figlia, Anna Pla-Narbona.
Il video è in spagnolo, i sottotitoli in inglese. Sotto il video trovate la trascrizione in italiano.
Mi scuso in anticipo per eventuali inesattezze, la traduzione si basa sui sottotitoli in inglese e ho già sentito ad orecchio che non coincidono in modo letterale, ma il senso si coglie tranquillamente. :-)
“Chi sono io? Sono un completo sconosciuto.
Fondamentalmente, sono un disegnatore, questo è sicuro.
Da quando mi ricordo, per scappare dalle mie preoccupazioni, portavo sempre con me uno sketchbook e una matita e continuavo a disegnare.
Il disegno è una finestra da cui liberare le proprie ansie.
E disegnando, si impara a pensare. Perché chiaramente, per poter disegnare qualcosa, devi prima capirlo e per capirlo sei obbligato a pensarci.
Ai tempi in cui avevo questa pazzia di disegnare, disegnare e disegnare, l’economia del Paese andava bene e un sacco di agenzie pubblicitarie si erano avviate; il che dava una possibilità a tutte quelle persone con degli obbiettivi artistici e aspirazioni, come me, di lavorare e disegnare per loro.
La pubblicità mi era anche utile per andare a fondo dell’animo umano, la parte più profonda della psicologia delle persone. Era l’epoca della psicoanalisi, l’epoca di Freud, Adler, era il tempo in cui le cose che erano state nascoste sotto il tappeto uscivano alla luce.
Ero fortunato ad avere uno stile molto personale, disegnavo a modo mio e questo facilitava le persone a riconoscere il mio lavoro.
Però, allo stesso tempo, i puristi dell’industria pubblicitaria, lo consideravano un difetto. Io la ritenevo una virtù grande e vantaggiosa.
Veramente, sono sempre stato un essere molto molto molto emotivo e i problemi della mia vita privata mi hanno messo profondamente in difficoltà. Per 10 anni sono stato depresso, il che significa che sono stato piuttosto fuori dal giro.
E’ stato mentre attraversavo questo momento intenso della mia vita, che ho deciso di dedicare il mio tempo alla pittura.
Sentivo che dipingere mi dava molta più soddisfazione della pubblicità.
Probabilmente, visto che sono ancora un po’ ingenuo, pensavo che la pubblicità fosse una trappola inadatta a me o a chiunque altro.
Per me, dipingere è una terapia di tranquillità e rilancio della mia coscienza.
In altre parole, la pittura è stata una salvezza psicologica.
Le emozioni sono difficilissime da raffigurare perché non hanno confine. Non hanno mura né soffitto.
Le emozioni sono come le nuvole; una volta che le metti in una scatola sono impossibili.
Le emozioni hanno questo lato negativo, ma è questo che fissa le basi per l’Arte.
Capire me stesso è una delle cose più complesse in cui mi sono imbattuto nella vita.
Quando dipingo e disegno mi riconosco davvero, ma sono solo brevi momenti, minuscoli pezzetti di esistenza.
Una volta che si verificano, praticamente si sciolgono nello spazio.”