Nani senza mutande e spaghetti alla Bolognese: censura e adattamento nei libri per l’infanzia

© Raphaëlle Barbanègre

“Questa cosa si potrà disegnare in questo modo?” “E questo si potrà scrivere così?”
Scrivere e disegnare per bambini non è affatto facile come alcuni pensano.
Si tratta di due attività molto delicate per via del target e del contesto culturale in cui si trova e per questo non andrebbero mai sottovalutate.
Dopo una breve chiacchierata con Davide Calì ho saputo che aveva scritto non molto tempo prima proprio un articolo su uno dei temi più nascosti della scrittura di libri per bambini (e credo anche per altri generi valga la stessa regola): la censura e gli adattamenti. Si tratta di un articolo lungo, interessante e a tratti anche esilarante, ho riso molto leggendolo in metropolitana quando è arrivato nella mia casella email.
Buona lettura!

Nani senza mutande
e spaghetti alla bolognese

di Davide Cali

Ho sempre ritenuto i miei come testi aperti, non credo di essere il genere di autore che considera le proprie storie sacre e intoccabili. Del resto penso che questo sia l’atteggiamento che mi ha consentito di lavorare con tanti editori, in paesi diversi.
I libri illustrati sono il prodotto di un lavoro di squadra. Nel momento in cui invii un testo devi sapere che dall’altra parte c’è qualcuno che farà un editing, delle proposte, talvolta invasive, ma dettate comunque dalla volontà di migliorare il prodotto.
Ovviamente si può dire di no. Ma se si dice sempre di no, penso che alla lunga rimanga come unica soluzione lavorare da soli, senza il fastidio dell’intrusione altrui.

Censura, editing e altre storie

Spesso mi chiedono se i miei libri hanno mai subito censure e a dire la verità penso di no. Considero la censura l’impedimento a dire o rappresentare qualche cosa di importante e fondamentale nella dinamica di una narrazione e quando mi è capitato che si volesse ridurre in modo sostanziale qualcosa di mio, ho sempre rifiutato.
Quello che però accade comunemente è invece la richiesta di modifiche relative soprattutto alla cultura del paese in cui si lavora. Spesso si tratta di modifiche richieste dall’editore che acquista i diritti in un altro paese, quindi si parla di modificare un libro già edito, ma poiché lavoro contemporaneamente in paesi e continenti diversi, le richieste mi arrivano anche dalle redazioni con cui collaboro direttamente.

In un libro possono cambiare cose piccole e grandi. Per esempio ricordo che su uno dei miei primi libri, Bernard et moi (Sarbacane, illustrato da Eric Héliot) uno dei personaggi preparava degli spaghetti per cena. L’editore francese mi chiese se potevano essere spaghetti alla bolognese.

Fonte: Le Petit BazArt Eric Héliot © Sarbacane
Fonte immagine: Le Petit BazArt | Eric Héliot © Sarbacane

Ho imparato dai francesi cosa fossero perché non li avevo mai sentiti nominare, non sono nemmeno sicuro che in Italia esistano! In Francia sono la ricetta di pasta italiana più diffusa, insieme alla carbonara, ricetta di cui invece sono certo che esiste, ma che non ho mai assaggiato.
(Lo so: le mie amiche romane adesso stanno inorridendo. Ma se volete inorridire veramente vi dirò che in Francia, almeno nel nord, esiste anche la pizza alla carbonara.
Se un giorno vorrete dare l’addio alla vita con i fuochi d’artificio, ve la raccomando.)

Ma torniamo a noi. Sul libro successivo con Eric Héliot, Piano piano (Sarbacane), ricordo un altro intervento, sempre minimo. A un certo punto il protagonista usciva con il nonno per visitare un museo. Mi chiesero se poteva essere di mercoledì, per il semplice fatto che in Francia il mercoledì non si va a scuola ed è una giornata consacrata a piccole attività di cui i nonni sono coinvolti se i genitori lavorano. A distanza di anni ora non lo faremmo più, perché da quasi due il mercoledì libero è stato abolito per adeguare la settimana scolastica francese a quella europea.
Sullo stesso libro, nell’edizione in inglese (Wilikins Farago, Australia) è stata effettuata invece una modifica più consistente. Come vedete nell’immagine, è sparita la pipa del nonno e così in tutte le tavole in cui compare il personaggio.

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Click per ingrandire | Eric Heliot – © Sarbacane

Questo perché nel mondo anglosassone è in atto da tempo una campagna contro il fumo che ormai vieta la rappresentazione del fumo, anche nei libri.
Va detto che il libro originale era del 2005 e che nel frattempo anche in Francia è cominciata la campagna anti-fumo per cui se rifacessimo il libro oggi, il nonno non fumerebbe la pipa.

Qualche anno dopo, ho pubblicato un libro ora non più disponibile dal titolo J’aime t’embrasser (Sarbacane, illustrato da Serge Bloch).

Serge Bloch - © Sarbacane
Fonte: Bedetheque | Serge Bloch – © Sarbacane

Per l’edizione giapponese (Chikura) ci chiesero se alla fine, dove il personaggio fa l’elenco delle città dove vorrebbe baciare la sua fidanzata, potevamo trasformare le città del mondo nominate (Venezia, Barcellona, Londra, Vienna), in città giapponesi, perché a loro dire la maggior parte dei giapponesi non viaggia mai fuori dal Giappone.
Modifiche di questo genere me ne chiedono a decine. Questo per dire che per tradurre il proprio lavoro in un altro paese bisogna essere pronti ai piccoli adattamenti. Tradurre non significa solo eseguire una traduzione letteraria ma anche culturale, per risultare comprensibili.

Da grande appassionato dei film di Woody Allen ho visto e rivisto tutti i suoi film e dopo averli imparati praticamente a memoria ho cominciato a riguardarli prima in inglese e poi in francese. Ho scoperto così che una buona metà delle battute, almeno nei film più vecchi, non è stata tradotta, ma adattata nello spirito e nella cultura europei. Devo dire che i traduttori hanno fatto un ottimo lavoro ma le rare volte che mi capita di rivedere un vecchio film di Allen in italiano inorridisco quando, mentre passeggia per Manhattan, Woody cita improvvisamente la Standa o Pippo Baudo. Il problema è che quando i film arrivarono in Italia (uno dei primi paesi a tradurli) nessuno conosceva Walmart o David Letterman.

Nani, indiani e vichinghi

In dieci anni di lavoro in Francia devo dire che gli interventi culturali degli editori ai miei testi sono sempre stati piuttosto discreti. Più frequenti le proposte letterarie, le domande di finali alternativi, aggiunta di personaggi, ma questo è abbastanza normale.
Mi sono spostato a lavorare in Francia proprio per essere più libero rispetto all’Italia dove percepivo una serie di limiti: nei libri per bambini non si parla, tra le varie cose, di morte, di divorzio, di omosessualità (1) e in generale mi sembrava che il mio tipo di humour non piacesse.
Dopo anni di libertà assoluta, cambiando continente e cominciando a lavorare negli Stati Uniti, ho trascorso circa un anno a riprendere le misure su ciò che nei libri per bambini è opportuno fare o meno.
Per quanto anche miei libri piuttosto particolari come Moi, j’attends (Io aspetto) o L’ennemi (Il nemico) siano stati tradotti in America, in generale ho la sensazione che i bambini laggiù rimangano più a lungo bambini. In questo senso i libri contribuiscono a coltivarne un immaginario privo il più possibile di riferimenti alla realtà cruda che passa al telegiornale: le guerre, la povertà, ecc.
So che molti contestano questo perbenismo e l’evidente conflitto con la realtà del fatto che i bambini in TV vedono passare ogni genere di violenza e di orrore, ma proprio questo credo rafforzi l’idea che gli anglosassoni hanno del libro come un luogo tranquillo, un’oasi serena nella quale abbandonare i bambini senza rischi.

(1) Lo so, in Italia ci sono molti bellissimi libri che trattano questi temi, ma fateci caso: si tratta sempre di traduzioni. Le cose piano piano stanno cambiando, ma dieci anni fa nessuno avrebbe pubblicato il Moi, j’attends. E forse neanche adesso.

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Click per ingrandire | Benjamin Chaud © Chronicle Books

Tutta la lavorazione di I didn’t do my homework because primo libro dell’ormai trilogia illustrata da Benjamin Chaud e pubblicata da Chronicle Books, ( i primi due libri nell’edizione italiana di Rizzoli : 12 ndr.) mi è servita per delimitare un po’ il terreno di scrittura in America. Nella prima stesura praticamente ogni due pagine ho commesso una gaffe fatale!
Come nella gag che diceva:
“Non ho fatto i compiti perché… siamo stati attaccati dagli indiani.”
Gli americani non amano scherzare sul loro passato con i nativi, per cui Chronicle mi chiese di cambiare la gag. Alla fine gli indiani sono diventati “vichinghi” e devo dire che questo ha reso la gag ancora più assurda. Nella gag invece in cui gli elfi nascondono le matite, Benjamin aveva disegnato gli elfi con matite nel naso, nelle orecchie e in altri pertugi.
Nel continente americano sono un pochino a disagio con questo tipo di humour per cui una delle matite venne rimossa. Vi lascio indovinare quale.
Parlo in modo più esteso di continente americano perché anche in Canada abbiamo avuto qualche richiesta di cambiamento.

Per una scena di Snow White and the 77 dwarfs (Tundra Books), l’illustratrice Raphaëlle Barbanègre, mi propose una gag bellissima: i 77 nani in coda per farsi fare il bagnetto da Biancaneve, tutti rigorosamente senza mutande.
L’idea di 77 culetti nudi ci divertiva molto ma lavoravo già in America da un po’ e le dissi che ci avrebbero chiesto di cambiarla. Questa piccola auto-censura partorì una gag anche più demenziale: la sera, prima di dormire, ognuno dei 77 nani si fa spazzolare la barba sulle ginocchia di Biancaneve.
Un piccolo intervento però lo hanno chiesto per un’altra scena. Dove all’inizio della storia c’è un nano steso con la biancheria, si intravvedevano le chiappe del nano, visibilmente senza mutande sotto i pantaloni. Raphaëlle ha dovuto aggiungere un paio di slip.
Quando pensavamo di aver mondato la storia da ogni peccato, ci chiesero ancora un piccolo intervento, una riduzione del seno di Biancaneve che sembrava troppo prosperoso senza contare un neo che poteva essere frainteso per un capezzolo.

Se questo vi fa pensare che gli anglosassoni siano dei bacchettoni, credo dobbiate considerare che la medesima casa editrice ci ha comprato un nuovo testo per il quale ci hanno proposto di modificare il finale in chiave girl power per cui Cenerentola, delusa dal principe (che è molto più bello sui manifesti che non dal vero), decide di non aver bisogno di nessun principe. Un finale che più di un editore in Europa, visto l’aria che tira in tempi recenti, giudicherebbe controverso.

Questo per dire che la ruota gira, tutto cambia, e quello che spaventava alcuni fino a qualche anno fa oggi viene accettato, mentre altri cominciano a coltivare nuovi pudori, dopo averne fatto a meno per decenni.
I fatti recenti di Venezia o la vicenda di Tous à poil (ne parlo qui) sono solo alcuni casi che potremmo citare.
In autunno per esempio Snow White ad the 77 dwarfs avrà una traduzione in Francia (Talents Hauts). Uno dei primi editori francesi a cui avevamo mandato il libro ce lo ha rifiutato perché avrebbe notato, cito testualmente, un sottomessaggio femminista.
Quando ho letto la mail della redattrice devo dire che sono rimasto un po’ sorpreso.

Click per ingrandire | Raphaelle Barbanègre - © Tundra Books
Raphaelle Barbanègre – © Tundra Books

Un sotto-messaggio femminista? Perché Biancaneve dopo tre giorni è stufa di fare il bucato e lavare i piatti per 77 nani casinisti e quindi preferisce andarsene?
Boh!

Panino al seitan

Se vi sembra invece che questo genere di intromissione tolga divertimento al lavoro avete ragione, ma del resto fare libri non è divertente come ve lo immaginate voi.
E’ bello, questo sì, ma la parte divertente finisce presto per lasciare posto alla lavorazione che è costellata di centinaia di piccoli dettagli da curare.

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Click per ingrandire | Raphaelle Barbanègre – © Tundra Books

Tanto per dire per Biancaneve e i 77 nani abbiamo passato molto più tempo a scegliere i nomi dei nani che a fare tutto il resto: il testo originale infatti era in francese e quindi i nomi andavano adattati in inglese!
Anche scegliere i nomi è stato divertente, ma a un certo punto mettere d’accordo tre persone è stato un po’ faticoso.

Cruelle Joëlle © Sarbacane
Cruelle Joëlle Ninie © Sarbacane

In questo senso non so contare il numero di discussioni via email per decidere i dettagli anche minimi. Una volta ricordo un giro di tre mail solo per decidere cosa mettere dentro un panino. Il fatto è che Joëlle, la protagonista della storia (Cruelle Joëlle ndr), è vegetariana. In una scena di campeggio io avevo proposto che mangiasse un panino al seitan, ma Fred l’editore mi disse che in Francia il seitan non esiste.
Ovviamente non esiste per lui, che dopo due primi e due secondi a cena attacca un piatto di formaggi, e non esiste per tanti altri (in Francia si mangia moltissima carne) ma nei supermercati il seitan si trova eccome! L’illustratrice, propose di metterci dell’insalata, ma il sandwich all’insalata mi sembrava insensato e soprattutto non mi faceva ridere.
Alla fine ci siamo messi d’accordo per i wurstel di soja: sono abbastanza vegetariani, sufficientemente ridicoli e decisamente riconoscibili anche per chi non bazzica il vegetarianesimo.

Certi libri richiedono un lungo set-up, soprattutto dove non c’è una vera e propria storia.
Il terzo titolo della trilogia americana con Benjamin Chaud è nato l’anno scorso a Milano. Naomi era venuta dalla California per tenere un corso di un week end e io interruppi per un giorno il tour francese per vederla. Siamo a prendere un caffè quando mi comunica la buona notizia: farete un terzo libro della serie!
Ah sì? dico io. E’ diventata una serie? Uau!
Ovviamente ero contento, ma anche un po’ spaventato. Già il secondo non era previsto, il terzo era totalmente inatteso. Avevo in mente fin da principio di continuare a lavorare con Benjamin, ma non al sequel del primo libro.
Naomi è entusiasta. Non vede l’ora di vedere qualcosa.
Io prendo tempo, timidamente. Poi ci salutiamo e prendo la metro. Il tempo di arrivare da Garibaldi alla Stazione Centrale e ho il libro in testa. Tutto il film.
Le mando un messaggino per dirle: ok, ce l’abbiamo!
Si tratta di un viaggio intorno al mondo. Ho avuto l’idea in 15 minuti. Poi, prima che scrivessi una sola riga, abbiamo passato sei mesi a decidere in quali paesi sarebbe andato il protagonista. Per sei mesi abbiamo aggiunto e tolto l’isola di Pasqua, io poi volevo un passaggio in Svizzera (dove sono nato) e a Londra perché mi piace, Benjamin voleva un vulcano, Naomi aveva proposto una tappa a Petra, io invece una bella scena a Mount Rushmore. Alla fine ci siamo messi d’accordo ma penso che avremmo impiegato meno tempo a fare veramente il viaggio!
Ma insomma, è così che si fanno i libri.

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