Ci ho pensato a lungo: lo scrivo, non lo scrivo? Verrà male interpretato, genererà polemiche?
E’ da tempo che non mi lascio spazio per dei post personali su questo blog ed è tempo che io riprenda a farlo, soprattutto in virtù del fatto che, in questo momento, ci sono delle persone che ne hanno bisogno. Molto bisogno.
Ecco cos’è successo: in questi giorni mi sono ammalata e quindi sto passando queste giornate a letto, senza riuscire a fare molto altro che a leggere. Disegnare è impossibile, spesso mi gira la testa. L’altra unica attività che mi riesce senza fatica nella febbre alta è guardare belle immagini su Pinterest, salvarle, collezionarle, navigarle.
Ieri sera me n’è capitata una che ha attirato la mia attenzione per via della sua delicatezza, per la scelta dei colori, per la vicinanza al mio universo artistico.
Incuriosita dalla mano dell’autrice e dal suo gusto l’ho cercata. E’ una cosa che amo fare: mi piace trovare immagini più vecchie, notare il fil rouge che collega i primi lavori coi più recenti, osservare lo sviluppo di una personalità nei disegni col passare del tempo. Percepire cosa cambia, cosa evolve e cosa resta, ha un fascino unico.
Mi perdo spesso anche nel leggere le pagine bio o le interviste, per capire chi è la persona che disegna, qual è il suo modo di vivere, quali sono le cose che ama e che plasmano il suo tratto.
In realtà sul sito dell’autrice non c’era molto altro, anche se quel poco che c’era, nella sua freschezza, continuava a spingermi a cercare di più. E’ così che ho aperto Google e cercando Claire Camax, questo è il suo nome, non ho trovato altre immagini che non fossero sue fotografie. E il suo account Pinterest, che mi ha raccontato quanto i nostri gusti fossero sorprendentemente simili. Con un sorriso l’ho seguita sul suo account. “Posterà sicuramente cose che mi piacciono!” ho pensato.
Poi ho continuato a cercare.
Le foto di lei, del suo viso giovane, dei suoi occhi chiari, erano tutte recentissime; mi è bastato un rapido sguardo sul motore di ricerca per apprendere che il nome di questa disegnatrice che mi piaceva tanto, con cui avevo appena scoperto di condividere i gusti in fatto di illustrazione, colori, abbigliamento e arredamento, rimbalzava da un sito all’altro all’interno di articoli inerenti la strage di Parigi dello scorso venerdì.
Gli occhi mi sono rimasti fissi al tablet, si rifiutavano di guardare altro. Il rifiuto era totale, figurati se. L’ho appena scoperta. Mi piacerebbe dirle quanto mi piace ciò che fa: è mia abitudine scrivere il mio apprezzamento, così, solo perché è bello sapere che da qualche parte qualcuno ama ciò che fai.
Invece è proprio così: lei non c’è più, l’ultima volta che c’era, come me e come voi, stava godendosi un concerto. Non leggerebbe nessuna mia email, è tardi.
Nelle ultime 24 ore non ho fatto che chiedermi: di cosa dovresti stupirti? Pensi forse che chi disegna o dipinge, sia eterno? Che siccome le piacevano le tue stesse cose, non poteva morire durante un atto terroristico?
E’ ovvio, non razionalmente.
Ma la cosa mi ha sconvolto. Forse sono ingenua, non lo so. Ma non posso fare a meno di sentirmi toccata da molto, molto vicino.
Comunque, ho scritto questo post non tanto per trovare uno sfogo, quanto perché questo è il momento di farlo: ora ci sono queste persone, fra le tante, tantissime altre distrutte, che si trovano ad appena 800 km da dove vivo io, a Parigi.
Potevano essere i miei famigliari, potevano essere i miei vicini di casa, la famiglia di un mio amico. Invece sono i bambini ed il marito di Claire Camax, grafica ed illustratrice che ha perso la vita lo scorso venerdì, durante una vera e propria esecuzione. Che come me, come molti di noi, fino allo scorso giovedì andava in bici al lavoro e si districava nelle consegne anticipate, nelle modifiche dell’ultimo momento, nella vita da freelancer.
Forse proprio perché conosco ormai così bene questo tipo di vita, mi sento tanto vicino alla sua famiglia. E per questo ieri sera, in modo anonimo, ho partecipato alla raccolta fondi che una parente ha organizzato per sostenere la situazione molto critica in cui si è trovata all’improvviso questa piccola famiglia ferita. L’ho fatto nel mio piccolo, perché penso che sia in momenti come questi che voglio esserci come una goccia nel mare. O forse perché, intimamente, spero che qualcuno farebbe lo stesso per me se domani mattina dovessi prendere la metropolitana, lasciando qui un paio di post in sospeso sul blog, i matitati sparsi sullo scanner e la scatola da svuotare, piena di riccioli di matita, per non fare più ritorno; magari perché sono andata in colorificio all’ora sbagliata oppure ho deciso di fare un giro in libreria o vedere una mostra in un momento fatale.
Ognuno con la sua storia si porta via qualcosa, anche da chi non conosce.
Ognuna di queste persone era un po’ me, un po’ voi, ed al tempo stesso ognuna di loro era un individuo unico ed irripetibile. Perché sembra scontato ricordarlo, ma ognuno di noi è irriproducibile, non esisterà mai più nessuno uguale, al mondo.
E questo vale per Parigi, per Beirut, per tutte le città ed i piccoli posti segnati a malapena sulle cartine, di cui i media non ci parlano. Ognuno, silenziosamente, si porta via qualcosa da questo mondo, per non ridarlo mai più indietro.
Suo malgrado, porta via i suoi disegni, la sua voce, la sua musica, i telefilm preferiti, i libri più amati, le proprie idiosincrasie. E qualcuno lascia .PSD non terminati nel suo computer, inchiostri ed acquarelli a metà, la scrivania in disordine e le matite da temperare. Perché non c’è più tempo.
E allora, quando si rimane, cosa si fa?
tempo fa, dopo mesi/anni, trovai il nome di un disegnatore di cui mi ero innamorata, su FB. passai mezzora a ingurgitare i suoi disegni, con ingordigia e invidia. ogni tanto sbucava pure qualche sua foto, e ho scoprii essere pure un bel ragazzo. sempre più invidia. una volta sazia cliccai sul nome per iscrivermi alla pagina e solo allora vidi che l’ultimo post era di mesi prima, scritto da una sua amica, che diceva che era all’ospedale. 7 mesi prima. poi il nulla. cercai anche in altri suoi siti, social. nulla. mi sono sentita svuotata e tradita, quasi la sua sparizione fosse un affronto a me che l’avevo rincorso mesi e lui se n’era sparito così. mi sono riguardata di nuovo le foto. era veramente giovane, veramente bravo, e lo invidiavo.
cosa fanno quelli che restano? provano a raccogliere i folgi sparsi e vanno avanti. ho passato giorni a studiare i suoi disegni, a cercare di rubare il colore alle sue opere. ho disegnato come lui per giorni (per quanto fosse nelle mie possibilità l’emularlo). usava un sacco gli acquerelli. è stato il periodo che ho fatto incetta di pennelli acquerellosi per photoshop, anche quelli che ho passato a te.
cosa si fa. si provano a raccogliere i semi e li si risemina nel proprio giardino. non saranno mai i suoi fiori, ma qualcosa, anche se non sta scritto e nessuno ne parla, resta.
Grazie Max, davvero
Ciao Morena, ho letto il tuo post. Bello e toccante. L’ho letto con molto piacere.
Il nostro destino è già scritto. Noi siamo solo una parte della vita e dobbiamo in tutti i modi cercare di viverla al meglio.
Per rispondere alla tua domanda posso solo dirti che chi rimane va avanti, non solo per se stessi ma anche per coloro che non ci sono più.
Tu hai un dono speciale …… quello di disegnare. Potresti creare un disegno e dedicarlo a lei, che a quanto pare ha lasciato un’impronta che non si cancellerà mai. Lei è nei suoi disegni, nelle sue matite usate a metà, nei colori abbandonati sul tavolo.
ivonne
è una bella idea, e devo prenderla in considerazione, sarebbe bello fare avere un po’ di disegni alla famiglia…
Toccante! Vero quanto e’ vero quello che scrivi e bisognerebbe ricordatelo ogni giorno
è difficile ricordarlo ogni giorno infatti, ma ogni tanto qualcosa vuole ricordarcelo e spesso si tratta di avvenimenti terribili