Storia dell’Illustrazione: Amos Sewell

Ho scoperto i lavori di Amos Sewell (1901-1983) per caso; curiosamente, quando cerco reference per argomenti o dettagli moderni capito spesso su immagini o gallerie di fotografia o illustrazione storica e viceversa, quando sto cercando qualcosa di storico finisco col trovarmi davanti a prodotti moderni.
Così mi è capitato anche stavolta.

Mi hanno da subito catturata l’attenzione per il dettaglio non eccessiva e quel tocco umoristico presente in certe tavole attraverso minuscoli particolari molto intelligenti.
Come in questo caso, in cui l’espressione della moglie raccoglie l’intero senso umoristico dell’illustrazione.

 

Sewell raffigurava l’americano medio negli anni ’40, ’50 e ’60 del Novecento; periodo particolare, quello del boom economico e demografico, della musica che mischiava per la prima volta influenze culturali differenti al suo interno. L’epoca del benessere, ma anche quella del capitalismo a tutto spiano, dei centri commerciali, delle vacanze alla portata di tutti (o quasi), fattori che hanno costituito la società come la conosciamo anche oggi.

 

 

 

Qualche volta Amos Sewell cade nel cliché, ma è tipico del periodo storico durante il quale lavorava.
Certi luoghi comuni triti e ritriti infatti, servivano a far percepire un senso di identificazione nel lettore e sono lo stesso marchio di fabbrica che talvolta nei testi di storia dell’illustrazione americana vengono attribuiti, non senza un’aspra critica, ad altri grandi dell’illustrazione americana, come Norman Rockwell. Sono immagini che divengono iconiche rispetto un’epoca storica.
Sewell però calca meno la mano sulla caratterizzazione dei personaggi, gli sfondi sono meno ricchi a favore di una maggiore attenzione agli atteggiamenti e al colore dei protagonisti, e la stucchevolezza rimproverata tavolta a Rockwell non è quasi mai presente.
Le tavole in effetti sono sì narrative, ma meno emotive di quelle di Rockwell. La componente buffa anche se altrettanto innocente, è quella che va per la maggiore nelle sue scelte narrative.

 

Chi ha visto il film “Le vergini suicide” diretto da Sofia Coppola e tratto dal romanzo di Jeffrey Eugenides
potrebbe riconoscere una certa scena.
A chi non è capitato di chiedere indicazioni stradali e di non capire nulla di quanto gli viene spiegato?

Sewell volle fortemente diventare un illustratore: ancora ventenne dovette rinunciare ad una promettente carriera di tennista.
Decise poi di trasferirsi dalla California alla East Coast, più prolifica in campo artistico ed editoriale, per stringere la sua più importante collaborazione, quella con The Saturday Evening Post (dal 1949 al 1962) per cui lavorava il più famoso illustratore di allora, proprio lo stesso Normal Rockwell. E prima di lui il suo mentore, J.C. Leyendecker.

 

Una delle copertine di Amos Sewell per il Saturday Evening Post
“Le scuole britanniche sono migliori delle nostre?”

Attualmente infatti, la maggior parte delle illustrazioni in circolazione per mano di Sewell appartengono proprio all’archivio delle cover realizzate per il famoso magazine americano.

 

Mentre per il famoso magazine “The Saturday Evening Post” realizzò cover a colori
che sono quelle che attualmente si trovano di più in circolazione, in precedenza Sewell lavorava
per lo più a carboncino con poche incursioni di colori se non del tutto in bianco e nero, riproducendo
scene quotidiane simili a quadri o a fotografie e ferma immagine cinematografici.

 

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