Qualche tempo fa ho acquistato “Tutti possono fare fumetti“, un manuale scritto e disegnato dal fumettista Gud (al secolo Daniele Bonomo) ed edito da Tunué.
Avevo già consultato due manuali sul fumetto, entrambi di Scott McCloud (questo è quello che ho letto più avidamente) , ma pur riconoscendone l’elevata qualità li ho trovati un po’ pesanti e anche stancanti a livello visivo.
Non li sconsiglio, affatto, ma d’ora in avanti se mi troverò a consigliare a qualcuno che si avvicina al fumetto una lettura che possa dargli un’idea chiara di come funziona, saprò che la mia risposta sarà “Tutti possono fare fumetti”.
L’ho trovato rilassante da leggere, a tratti illuminante. Istruttivo ma anche divertente, l’ho tenuto volentieri nella mia libreria nel settore “Manuali e riferimenti” (io ho una libreria così organizzata che spaventerebbe una biblioteca vera) perchè mi piace che sia sempre lì a disposizione soprattutto questo periodo in cui sto sceneggiando una graphic novel e cerco con cura di rispettare i tempi narrativi del fumetto che differiscono da quelli dell’illustrazione.
Il fumetto è un linguaggio, e in quanto tale ha delle regole e delle strutture che vanno capite per farlo funzionare.
Imparare a gestirlo è importante per creare un messaggio che arrivi a destinazione; infatti, se non è creato per arrivare a chi lo legge, a cosa servono un testo o un disegno, a cosa serve che ci sia un messaggio?
Potranno essere di ottima qualità ma non verranno recepiti e quindi saranno vani.
Il manuale mi ha entusiasmata e mi ha tolto quel reverenziale timore che provavo nei confronti della sceneggiatura.
Ho una natura molto prudente, perfino troppo, tanto che mi blocco su sciocchezze che io vedo come massi insormontabili, tutta presa da domande come “Lo sto facendo come si deve?” “E’ di qualità?”.
Da quando ho finito il manuale di Gud sto sceneggiando rapidamente e provandone un piacere infinito, che sinceramente non pensavo possibile nel fare qualcosa di nuovo per me.
Al tempo stesso, come mi capita ogni volta che qualcosa mi piace perchè lo trovo fatto molto bene, mi sono fatta delle domande sulla realizzazione del manuale.
I dietro le quinte di libri, film, video, illustrazioni o perfino tracce musicali, restano sempre la mia passione più grande. Sono curiosa.
Così ho scritto a Gud, che ha accettato di rispondere alla mia intervista sul manuale e spero sarà di spunto anche a voi, perchè si toccano temi a cui noi disegnatori siamo tutti molto sensibili.
Buona lettura!
Ciao Gud, grazie per averci concesso di curiosare tra le quinte del tuo libro.
Iniziamo rompendo il ghiaccio con una domanda molto diretta, com’è nel mio stile: insomma, tutti possono fare fumetti?
Ghiaccio frantumato direi. La risposta sì, tutti possono fare fumetti.
Devo riconoscere che il titolo è abbastanza provocatorio, perchè l’esperienza mi ha insegnato che, se c’è la volontà, raccontare a fumetti è un traguardo raggiungibile davvero da tutti.
Come mai l’idea di un manuale? I tuoi studenti ti hanno ispirato?
Dopo una dozzina di anni di insegnamento, qualche centinaia di studenti incontrati, corsi e workshop in scuole di ogni ordine e grado, ho sentito la necessità di mettere nero su bianco quei concetti che tornavano nelle mie lezioni, sia con i bambini delle elementari che con i ragazzi alla Scuola di Comics. Così ho pensato ad un manuale semplice, che fosse fruibile da tutti e che avesse più piani di lettura.
Da illustratrice, mi ha molto colpito il testo a pagina 95 di “Tutti possono fare fumetti”:
Secondo te, quanto occorre conoscere la struttura realistica di ciò che ci circonda per poterla sintetizzare?
Questa la domanda alla quale mi sono trovato più spesso a rispondere, e anche il principale mito da sfatare. Quanto conta il talento e quanto la tecnica (e la conoscenza)? Secondo me il talento che abbiamo come disegnatori è proprio quello di riuscire a sintetizzare la realtà con dei segni comprensibili. Più che della struttura realistica, qui intendo la capacità di astrarre il concetto dalla realtà e trasformarlo in un segno inequivocabile. Conoscere la struttura realistica aiuta, anche se più di tutto aiuta imparare ad osservare in maniera meno superficiale quello che ci circonda.
Per quanto riguarda le idee per le storie, sei d’accordo con quello che insegnano a molti corsi quando dicono “Disegna/Racconta ciò che sai”?
Il problema è sapere quello che sai (ndr ridacchia).
Preferisco pensare che nel racconto un autore inserisca quello che è , le sue esperienze, le sue emozioni.
Mi piacciono quelle pagine dove l’emotività esplode nel segno, nelle parole, nei tempi narrativi, anche se raccontano la semplicità. Non mi piacciono gli autori razionali, che inondano le tavole di nozioni con segno glaciale e perfetto. La perfezione non è credibile. Anche per questo nel libro do un paio di suggerimenti su come iniziare a pensare le proprie storie, magari seguendo l’esempio di alcuni grandi Maestri come Hergé, Eisner o Pratt.
Nel tuo manuale, una vignetta tira l’altra e imparare il funzionamento di alcuni meccanismi dietro il fumetto diventa appassionante pagina dopo pagina.
A colpirmi molto è anche come inserisci con nonchalance elementi di storia del fumetto, che diventano parte integrante della comprensione di quei meccanismi.
Quanto è importante secondo te conoscere la storia del fumetto o dell’illustrazione per essere buoni fumettisti e illustratori?
L’idea è che un lettore occasionale possa conoscere con naturalezza qualche nozione in pi sul fumetto, sulla sua storia e sui suoi elementi fondanti, stata il cardine su cui ho costruito tutto il libro.
Perchè a veder mio, il fumetto soffre anche per la mancanza di un’educazione di base diffusa.
Molti non leggono fumetti perchè non li conoscono e ignorano i processi produttivi e tutto il lavoro creativo che c’è dietro. Alcuni pensano che siano fatti da complicatissimi software automatici che stampano direttamente le storie già confezionate.
Allargare la base della conoscenza, questo forse ci salverà.
A pagina 68, scrivi “La prima domanda è: Perchè?”
Mi daresti tre perchè alla domanda “Perchè fare un fumetto?”.
Ti dico i miei personali:
1. Perchè mentre li faccio sono solo con me stesso e con il mio respiro che si alterna al rumore della mina/pennello/gomma/spugna/pennino/chiodo/dita/naso/lettera/testamento sul foglio.
2. Perchè il modo più naturale che conosco per raccontare le cose.
3. Perchè mi diverto e, quasi sempre, mi pagano per farlo.
E ora una domanda da illustratrice rompiscatole: a pagina 25 trovo un fumetto che dice “L’illustrazione perde parte della sua forza narrativa se viene lasciata senza un testo.”
Io non sono d’accordissimo, perchè alcuni talentuosi illustratori riescono a narrare solo con un silent book, altri praticano illustrazione concettuale (come alcune per magazine) che trasmette un messaggio chiaro senza nemmeno una parola attorno.
E allora la mia domanda è: non è che esistono dei pregiudizi dal fumetto all’illustrazione e viceversa? Ma sono così profondamente diversi?
Eh eh eh, sapevo che qualcuno sarebbe stato toccato da questa definizione, l’avevo messo in conto.
Mi serviva uno spartiacque per far capire la differenza tra i tre linguaggi che utilizzano il disegno, cioè illustrazione, fumetto e animazione.
Così ho preso in prestito la definizione di Daniele Barbieri (ne “I linguaggi del fumetto”) che traccia la distinzione netta tra un Fumetto e un’animazione che raccontano e un’Illustrazione che commenta. I confini nella realtà, per fortuna, non sono mai così netti, ma per cercare di chiarire a chi parte da zero che differenza c’è, sono stato costretto ad usare l’accetta.
A proposito di qualcosa di vicino alla domanda precedente.
A me è capitato che mi venisse chiesto “Ma se devo studiare da disegnatore, secondo te è meglio se studio fumetto o illustrazione?”
Come risponderebbe Gud?
Se vuoi studiare da disegnatore, studia le tecniche del disegno. Una volta che sarai il disegnatore più bravo della galassia, dovrai rispondere alla vera domanda: e ora, cosa ci voglio fare col disegno?
Qual è il tuo tipo di fumetto preferito? Quello che leggi con più piacere. Filoni o nazionalità in particolare?
Ti direi umoristico, magari francese, ma poi tra le cose che preferisco ci sono certe mattonate intimiste americane o romanzoni d’avventura disegnata. Allora ti dico Calvin e Hobbes. Ho risposto alla tua domanda?
Direi proprio di si!
Cosa consiglieresti prima di tutto a chi pensa di fare fumetto?
L’ultima pagina del mio libro ;)
L'intervista mi è piaciuta.
Per quanto riguarda il fatto "Disegna/Racconta ciò che sai." fino a un po' di tempo fa ero d'accordo al 100% però poi cos'è che ti piace? Come evolveresti quello che sai? Trovo che il sapere e il piacere possano coesistere.
Da futura illustratrice (spero) molto rompiscatole attendevo la domanda sulla pagina 25 e non so…
Mi è piaciuto che lui sapeva che qualcuno sarebbe rimasto colpito da quest'affermazione e che non cascasse dalle nuvole. Leggendo la sua risposta posso anche capire in un certo senso perché abbia scelto di scrivere questo.
Inoltre alcune frasi come "La capacità di sintetizzare la realtà" e "La prima domanda è perché." sono anche attuabili nell'illustrazione. In più la seconda frase è essenziale per tutta l'arte: Perché lo faccio? Cosa mi spinge a farlo? Cosa per me è necessario dire con questo?
La sua risposta a "Ma se devo studiare da disegnatore, secondo te è meglio se studio fumetto o illustrazione?" mi è piaciuta tantissimo. Tu cosa ne pensi? Sei d'accordo?
Grazie ad entrambi per questa intervista.
sempre molto stimolanti le interviste di Morena.